Ci puoi giurare


Era bello quando usavamo il telefono, quello con il filo, con la fessura per le monete giù al bar, partivo da casa con le tasche piene di minuti con te, talvolta sprecavamo le parole e restavamo in silenzio sentendo il telefono ingoiarsi i miei risparmi, soldi che sarebbero potuti diventare una birra, un francobollo, un biglietto verso te. Capitava che dovevo fare i conti, quante parole potevo dire con duecento lire, quanti minuti di silenzio ci saremmo potuti permettere ogni mercoledì, mi sentivo troppo stupido a pensarci, a fare le addizioni dei nostri discorsi e capire cosa ci restava.
Adesso quando ti chiamo non stai attaccata da nessuna parte, magari cammini o scrivi o lavori, non è come un tempo, dove le parole ti impedivano di correre altrove, adesso sei libera e cammini parli con gli altri e talvolta mi interrompi e spesso mi dici che non mi senti bene. E anche io, che posso dirti, che non mi sento bene neppure io.
Era bello sapere che eri dall'altra parte attaccata alla cornetta, riuscivo a immaginarmi la mia voce passare nell'apparecchio e scivolare dentro il filo arrotolato e poi venire verso di te, srotolarsi nella tua testa, invece adesso senza fili mi chiedo sempre dove siano le mie parole, trovo difficile immaginarne il percorso: quando le ho già dette, ma non ti sono arrivate, dove navigano?
E su questo mi arrovello prima di chiamarti, durante le chiamate a vuoto a cui non rispondi mai...perché?, al mattino e alla sera, ma soprattutto di sera, ci puoi giurare.

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